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Storia
di Musei |
Il
toponimo Musei probabilmente deriva dalla locuzione latina (Villa)
Musei (tenuta di Museio), cioè di un latifondo romano
Museius,
il cui gentilizio è realmente documentato, sia pure non
in Sardegna. Secondo Giovanni Spano: “Molti credono che
sia così appellato da Moisè, cui una colonia di
Ebrei dedicarono la villa dove si stanziarono. Da altri si crede
che sia l’anagramma di JESUM, perché era un feudo
dei Gesuiti. Ma è certo d’esser voce fen. MOSCIAV,
mansione, o MUTZA, fontana”.
Notizie sui resti di popolazioni antiche a Musei le fornisce il
volume Emendamenti ed aggiunte all’itinerario dell’Isole
di Sardegna del Conte Alberto della Marmora nel commento di Giovani
Spano. Cagliari 1874. Alla voce Musei: “E’ sicuro
che in questo villaggio vi sorgesse una popolazione antica, perché
vi si scoprirono oggetti romani. E’ specialmente da segnalare
un sito in vicinanza al villaggio detto Arruinalis, dove si ritrovano
fondamenta di edifizi antichi, le cui pietre sono ben riquadrate
ed unite insieme, collegate con sbarre di piombo. Quest’edifizio
rimonta ad alta antichità”
C. Corbetta in Sardegna e Corsica scrive: “Ma Musei e Domusnovas
francano la spesa di una visita; il primo per vedere le vestigia
di antichissimi edifici che sembrano anteriori all’epoca
romana, e gustare un bicchiere dello squisito vino, detto Nasco,
che vi si produce”.
Nel Volume “La scena e il paesaggio”, l’autore,
S. Bullegas riporta questa citazione di S. Vidal: “La villa
de Musei, i Villa de Murus hic erat unum ex celebrioribus gymnasijs
que Iolaus erexit” e cioè: nella Villa di Musei,
denominata anche Villa di Murus, esisteva un celebre ginnasio
creato da Iolao.
Forse è documentata come Domum de Villa Sancti Ruxori (D.
Scano, C.D.S.S.S., doc. LXVII (Onorio III), pag. 46 . Laterano
5 Ottobre 1218). In questo documento si ricorda che la Domum de
Villa sancti Ruxori potrebbe riferirsi, anche se con molta incertezza,
alla villa che doveva trovarsi nel luogo dove un tempo sorgeva
la chiesetta campestre di San Lussorio.
A sud era presente la Villa di Prato (Pardu), in vicinanza e a
sud del fiume San Giovanni o più verosimilmente Cixerri.
Forse prima della nascita di Musei contava anche sui suoi territori
confinando direttamente con Domusnovas. La troviamo nel 1328,
quando fu riconosciuta come feudo a Pietro de Acen. I de Acen
erano una famiglia sulcitana le cui notizie risalgono al secolo
XIV, quando viveva un Comita de Acen de Pixina cittadino di Iglesias.
Agli inizi del XIV secolo (F. Aritzzu. Rendite Pisane nel Giudicato
di Cagliari nella seconda metà del secolo XIII. Archivio
Storico Sardo, Vol. XXV, 1957, Fasc. 1-2) risultano 18 fuochi.
Nel 1361 un documento aragonese ricorda un “foru appellat
Lo Leone passaten les aygnes de Vila de Prat” (A.C.A. Real
Patrimonio Rg. 2122. Da S. Day “Villaggi abbandonati”).
E’inoltre ricordata con la chiesa di S. Nicola nel 1365
(A. Boscolo, Rendite Ecclesiastiche Cagliaritane nel primo periodo
della dominazione aragonese. Archivio Storico Sardo, Vol. XXVII,
1961, pp. 3-62), mentre la troviamo spopolata nel 1487 (V. Angius
in G. Canalis “Dizionario Geografico, Storico, Statistico.
Ordine cronologico delle concessioni feudali e cronaca del feudalesimo
sardo).
Dopo la vittoria dei Pisani sui Genovesi a Santa Igia nel 1257
e il susseguente smembramento del Giudicato di Cagliari, divenne
possesso feudale dei Della Gherardesca. Quando poi alcuni anni
dopo questi fecero un’ulteriore divisione tra loro, Musei
fu incluso nella parte toccata al ramo del conte Ugolino.
Il villaggio è citato come Musej nei registri delle rendite
pisane nel Giudicato di Cagliari (RR 1323, 347).
Dopo che i figli dello sventurato conte furono sconfitti nella
guerra da essi scatenata contro il Comune di Pisa per vendicare
la morte del padre, ne perdettero la disponibilità e Musei
prese a essere amministrato direttamente da funzionari del Comune.
Nei documenti appare successivamente al 1324, quando, dopo la
conquista aragonese, insieme al villaggio di Urso è concesso
a Pietro Oller.
Nel Gennaio del 1328 questi lo vendette a Guglielmo de Abbadia,
che ne fu privato con la forza da Arnaldo Meschal nel 1338. Costui
era un medico catalano venuto in Sardegna al seguito dell’infante
Alfonso. Subito dopo la conquista dell’isola ebbe una rendita
di 2.000 alfonsini. Nominato Vicario Reale, si diede a vere e
proprie imprese di banditismo. A capo di una masnada di uomini
armati correva il territorio del Sigerro. Fu ordinato al Capitano
di Iglesias Rodrigo de Aynar di intervenire per ridurlo alla ragione,
ma non vi riuscì, anzi, Arnoldo ottenne l’investitura
del feudo. Meschal fu costretto a rinunciarvi nel 1340.
Guglielmo di Abbadia di Barcellona, fu un funzionario venuto anch’egli
in Sardegna con l'infante Alfonso. Dopo la conquista fu nominato
Bajulo, doganiere a portolano di Cagliari. Era una persona poco
corretta e fu messo sotto inchiesta.
Sempre nel 1340 è citato come Musey in un documento del
Codex Diplomaticus Sardiniae (CDS 1714/1,2).
Musei fu allora concessa a Niccolò Carroz che morì
nel 1347 senza lasciare discendenza maschile, quindi il feudo
fu considerato devoluto.
Il villaggio, la cui popolazione ebbe un notevole calo a causa
della peste del 1348, fu allora acquistato da Alibardo de Acen
intorno al 1350.
Appare in un documento del Codex Diplomaticus Ecclesiensis nell’anno
1355.
Alibardo de Acen lo cedette dopo il 1358 a Ugo Ponzio d’Ampurias.
Possedeva 15 uomini abili nel periodo 1349-1351, così come
risulta da Host del Caller, A.C.A., Real Patrimonio, Reg. 2076,
F. 47-52 v (da J. Day, Villaggi abbandonati). Infatti, ogni barone
dovette fornire il 20% dei suoi uomini per la battaglia di liberazione
di Sassari.
Allo scoppio della seconda guerra tra Mariano IV d’Arborea
e Pietro IV, fu occupato dalle truppe del giudice d’Arborea
che lo incluse nei suoi possedimenti fino alla caduta del giudicato
avvenuta nel 1408.
Nel 1409 tornò in possesso dei Carroz del ramo di Mandas
eredi di Nicolò che nell’Agosto del 1460 ne ottennero
l’allodiazione.
Nel 1436 è citato in un documento del Codex Diplomaticus
Ecclesiensis.
Nel 1479 Musei passò ai loro eredi che lo tennero fino
al Giugno 1500, quando Pietro III Maza de Licana lo vendette a
Beatrice Carbonell, vedova Cardona. Costei, a sua volta lo vendette
ad Antonio Serra, che sposò Menenzia Sanjust y Boter. Questi
lo dovette rendere, nell’Aprile del 1513, ad Angelo
Cardona.
Nel Novembre del 1532 il Cardona lasciò in eredità
il feudo a sua moglie Isabella Carbonell, la quale, a sua volta
donò il feudo alla sorella Adriana (citata negli elenchi
e le descrizioni di vesti in ASC, Notai di Cagliari, Atti legati,
Notaio G. Orda, vol. 1558) e da lei alla figlia Elena che sposò
Vincenzo Rossellò.
I Rossellò erano una famiglia di origine majorchina trapiantata
a Cagliari nel secolo XVI. In quello stesso periodo nacquero due
fratelli: Bartolomeo e Vincenzo. Quest’ultimo sposò
Elena Nicolau, erede del feudo di Musei, che morì nel Maggio
1585. Secondo quanto scrisse il Fara, nel 1584 il villaggio risulta
disabitato. Elena lasciò Musei al loro figlio, il noto
umanista Monserrato, protettore dei Gesuiti. Egli percorse una
luminosa carriera nella magistratura, divenne Giudice della Reale
Udienza. Raccolse una grande biblioteca di più di 5.000
volumi, molti dei quali erano appartenuti al Fara. Morì
nel 1607 lasciando Musei all’ordine dei Gesuiti.
Fu veramente un distinto capitolo della storia di Musei e in un
certo senso, anche della storia sarda, non solo per il fatto,
già di per sé straordinario, dell’amministrazione
di un feudo da parte di religiosi, ma per tutto quello che vi
seppero compiere i Figli del Loyola, facendo avanzare l’agricoltura,
incrementando con buoni metodi l’allevamento del bestiame
(tanto che nel Settecento le vacche di Musei erano ritenute le
migliori dell’isola) e portando così la popolazione,
nel contesto della realtà sarda di allora, a un discreto
benessere e a un notevole progresso spirituale e materiale.
La donazione della biblioteca e del feudo, fatta dal Rossellò
ai Gesuiti, fu compiuta con tre atti: con testamento nuncupativo
del 7 Gennaio 1594, confermato con testamento del 1 Dicembre 1607.
Nell’Archivio di Stato di Cagliari si conserva il testamento
originale del 7 Gennaio 1594 (Notaio Alessio Ordà: Testamento-Codicilli):
“Tota empero la dita vila mia de Musey y altras desplobadas
aderents ad aquella en lo present cap de Caller situadas ab totas
las jurisdictions, drets, y pertinencias de aquellas que per mes
justs y legittims titols en pur libero y franch alou possehesch,
y qualsevol altres bens meus axi mobles com immobles drets meus
y rations a mi pertinients y sguardants… als Reverents Pares
del Collegi de la Compania de Jesus de la pna. Ciutat de Caller
que vui son y per temps seran instituhint dit Collegi a mi hereu
universal ab pacto empero, vincle y condicio primo che tota la
mia libreria de lleis y canones com de teologia y altras facultats
que yo tinch no la venan, donen… Secundo al pacte y cindicio
que parguen y satisfassan tots legats… Tertio ab pacte y
condicio que… tot lo que sobrarà de ditas rentas
ciascun ayn pagades les pensions des censals que se reponen sobre
dita vila se guarde y converte… “ al mantenimento
della Biblioteca.
Non si conosce la somma precisa della rendita di Musei, detratti
i pesi. La si può immaginare discreta o almeno ritenuta
allora suscettibile di crescita la considerazione che il Padre
Antioco Carta, rettore del Colleggio gesuitico di S. Croce in
Cagliari, certamente d’accordo con i Superiori Maggiori,
accettò l’eredità, come si legge nel codicillo,
già citato, dell’Archivio di Stato di Cagliari: “Noverint
universi quod anno a nativitate Domini millesimo septima mensis
martii mrtuo dicto Mag. Monserrato Rossellò testatore et
codicillante praedicto et Eius cadavere ecclesiasticae supelturae
tradito per insertum testamentum cum eiuus codicillo instante
admodum Reverendo Anthioco Carta Rector Collegii Societatis Jesu
presentis Civitatis Callari fuerunt pubblicata per me Alexium
Gab. Hordà, notorium publicum Callaris, eorundum receptorem
in domo solitae habitationis dicti defunti alta et intelligibili
voce quorum tenore a praedicto admodum R.do Anthioco Carta Rectore
percepto… et pro parte dicti Collegi dixit quod acceptabat
haereditatem dicti quondam Rossellò cum beneficio legis
et inventarii et sub juris disposizione”.
In quella occasione il Regio Fisco, sostenuto dalla reale Udienza,
contestò il testamento del Rossellò, affermando
che il feudo non poteva passare a un ordine religioso, ma il Supremo
Consiglio d’Aragona intervenne a favore della Compagnia
di Gesù e i Gesuiti ebbero il feudo.
Essi pensarono anche ai bisogni spirituali della popolazione e,
rifuggendo (pare) da certe festose e fastose manifestazioni esterne
di sagre, piuttosto diffuse e frequenti nei paesi sardi del tempo,
svolsero un continuo apostolato nella chiesa, che vollero dedicata
al loro Fondatore. La parrocchiale di Sant’Ignazio è
in stile tardo-barocco con una facciata un po’ disarticolata
tra corpo tra corpo superiore e inferiore. Ha un portone ligneo
decorato nella parte superiore da un bassorilievo di L. Angius.
Nel pannello oltre al volto del Santo è stato scolpito
un tomo sacro, un teschio e degli elementi botanici. Due paraste,
non decorate e molto massicce rispetto al prospetto, munite di
capitelli, contengono una trabeazione coronata da un semplice
timpano. Un finestrone semi circolare, impreziosito da una sequenza
di vetri policromi, porta luce all’interno dell’aula.
Anche il corpo superiore ha due lesene e l’insieme esterno
si conclude con un campanile a canna quadra che trovasi nel retro
della fabbrica; una bifora anteriormente e tre monofore negli
altri lati di codesto elemento architettonico concludono, con
una cupola, l’esterno della chiesa.
La parrocchiale, con pianta ad aula, all’interno si presenta
ricca e fastosa, così come sono, in genere, le chiese gesuitiche
che architettonicamente conservano il barocco quale funzione decorativa
preminente.
Gli aspetti che ne caratterizzano l’interno sono:
• Un crocifisso ligneo risalente ai primi anni del ‘700
raffigurante San Sebastiano Martire;
• Un simulacro di San Lussorio, anteriore al ‘600
e all’arrivo dei Gesuiti a Musei;
• Un simulacro di Sant’Ignazio di Lodola, portato
dai Gesuiti quando presero in mano la parrocchia;
• Una croce professionale del ‘600 laminata in argento
e risalente al periodo in cui nella zona esistevano dei forni
per la lavorazione del prezioso metallo estratto dalle miniere
del circondario;
• Interessanti decorazioni pittoriche di gusto prevalentemente
barocco eseguite dal pittore Giuseppe Carcangiu di Serramanna:
vedi la volta a botte che ha come soggetto principale “I
Misteri Gaudiosi” eseguiti con impasti di colore ben armonizzati,
con fughe prospettiche, drappeggi, figure di santi, sfondi, finti
stucchi, cornici, angeli e flora;
• Un’acquasantiera in pietra, con altorilievi raffiguranti
volti di angioletti.
Nel 1678 contava 68 fuochi (F. Corridore, Storia documentata della
popolazione di Sardegna (1479-1901).
In una relazione manoscritta del 1746 che si conserva nella Biblioteca
Universitaria di Cagliari, Musei viene presentato come un villaggio
di 378 abitanti, che si trova in una pianura, abbondante di pascolo,
di grano e di vigneti: “Ce fiel appartient aux gesuites
de Cagliari, et ne s’etend qu’au seul villane de Musei,
de 378 personnes, à 30 miles à l’ouest de
Cagliari, dans une plaine mal-saine, qui abonde en paturages,
et qui produit vin”.
Nel 1773, con la cacciata dall’isola dell’ordine,
Musei tornò al fisco. Nel Novembre del 1785 a conclusione
di una lunga controversia che il fisco aveva con i Bou Crespi,
fu ceduto a Gioacchino col titolo di marchese di Musei. I Bou
Crespi erano una famiglia feudale valenzana le cui notizie risalgono
al secolo XIII. La famiglia dovette affrontare una controversia
con il fisco quando questi, intorno al 1751, volle togliere a
Cristoforo, marchese del Gadillo, il possesso della signoria della
scrivania della procura reale di Cagliari, che gli era stata lasciata
in eredità dal fratello Giuseppe, morto senza figli. Per
accelerare la cessione della signoria, il fisco si oppose alla
successione di Cristoforo considerando devoluti tutti i feudi
che aveva ereditato. Ne nacque una lite dispendiosissima che non
si era ancora conclusa quando morì nel 1766. Suo figlio
Gioacchino si trovò in grandi difficoltà: per fiaccare
la sua resistenza e convincerlo a cedere la scrivania il fisco
si apprestò sequestrare nuovamente i feudi. Solo nel 1785
riuscì a concludere la lite con una transazione: Gioacchino
vi rinunciò per avere finalmente riconosciuta la legittimità
del possesso di tutto il suo patrimonio feudale. La transazione
inoltre prevedeva la concessione del feudo di Musei col titolo
di marchesato.
Possedevano inoltre l’eredità dei Brondo e cioè
i marchesati di Palmas, Villacidro, le baronie di Giojosaguardia
e Acquafredda, con Decimomannu, Villaspeciosa, Nuraminis e
Monastir.
Un territorio molto esteso ma scarsamente popolato con 11 villaggi
e 13.239 abitanti (1814-1843). Tale trasferimento I Bou Crespi
tennero il feudo fino all’abolizione.
Nel 1821 Musei fu incluso nella Provincia di Iglesias.
Avviata la procedura per il riscatto la Regia Delegazione con
sentenza del Novembre 1838 riconobbe loro diritti feudali per
Lire 246.
Di questo periodo abbiamo la testimonianza di Vittorio Angius:
“Il territorio di Musei è molto ristretto e quasi
tutto nel piano. Si computò la sua superficie di starelli
1384, de’ quali 150 chiusi, 116 vignati, aperti 1117, i
quali si pretendeano demaniali. Sottraendoli a quel residuo starelli
500 del prato e starelli 150 della regione Su Coddu, rimanevano
per le vidazzoni e per il pascolo starelli 457. Mancando pertanto
il terreno, manca a’ contadini dove esercitare la loro industria;
epperò languono essi nella miseria, e le altre case sono
rovinate, altre rovinanti. Esse saranno circa 200, computando
quelle che sono abbandonate per timore che cadano addosso alle
infelici famiglie; e nelle stagioni piovose parrebbe vederle nuotanti
in uno stagno di fango, dove non si può passare altrimenti
che sul carro o sul cavallo.
Agricoltura. Ne’ terreni arativi del paese e negli altri
che si fittano in altri salti sogliono i musini seminare annalmente
starelli di grano 600, d’orzo 100, di fave 50, di legumi
25. La fruttificazione media del grano è al 10, dell’orzo
al 18, delle fave all’8, de’legumi al 12. Si semina
anche granone, ma per la scarsezza dell’acqua che tutta
usurpano quei di Domusnovas, questa cultura vien sempre meno.
Lo stesso accade sopra le piante ortensi. Se le acque, perché
mal incalanate, non si disperdessero, potrebbero bastare agli
uni e agli altri. Comechè il territorio di Musei sia di
egual bontà al limitrofo di Domusnovas, non pertanto poco
si studia nella cultura degli alberi fruttiferi, e però
pochissimi (e i più tra questi peri innestati) ne son venduti
ne’predii. Anche sulle viti si usa pochissima diligenza,
e le vigne, mentre di giorno in giorno deperiscono, dan poco prodotto
nella vendemmia. Consumato quel poco bisogna bever dai pozzi,
e molti né pur né giorni solenni possono aver il
piacere di gustarne, mancando di mezzi a procurarsene.
Pastorizia. Nel bestiame rude numeravansi (anno 1838) vacche 126,
tori 26, pecore 22.000; nel manso buoi 225, vacche 120, tori 30,
cavalli 20, mjali 60. Non si hanno giumenti per la macinazione,
servendosi questi popolani de’molini di Domusnovas.
Quando nel 1848 furono abolite le province, Musei entrò
a far parte della divisione amministrativa di Cagliari e dal 1859
della ricostituita omonima provincia. Sempre nel 1848 Musei aveva
621 anime; nel 1858 641. In quello stesso anno si ha notizia della
presenza di una Prima Elementare maschile con 11 scolari e l’insegnante
Venerando Milia.
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